48 ore per non morire, ovvero come fare un regalo e uscirne indenni.

Prima di iniziare, due premesse fondamentali:
Primo: per quanto assurdi, i fatti narrati di seguito sono accaduti realmente.
Secondo: nessuno dei personaggi qui citati è stato maltrattato. O forse sì, ma a nessuno importa.

Che probabilità ci sono che, su quattro negozi di cui si conosce l’ubicazione, ne siano chiusi quattro?

Un famoso proverbio recita: “Il buongiorno si vede dal mattino”. Beh, vi assicuro che è così: se fin dalla mattina si preannuncia del grigio all’orizzonte, scoprirete (poco) piacevolmente che vi aspetta una giornata ricca di… di avvenimenti, ecco. Ma partiamo dall’inizio.

L’inizio è lunedì mattina, e per definizione i lunedì mattina sono sempre difettosi. Già questo dovrebbe spingere qualsiasi persona sana di mente a rimanersene a letto a poltrire e non ad alzarsi alle 7 meno un quarto. Se proprio non è possibile vegetare tra quelle calde lenzuola che esercitano una discreta attrazione, almeno si dovrebbe capire che non è il caso di intraprendere strane avventure. Il sospetto che non è il caso di passare molto tempo per strada dovrebbe sorgere quando ci si accorge che questo è il primo, vero giorno d’inverno. Detto sospetto dovrebbe venire confermato all’arrivo in stazione.

Io: “Ma come mai c’è così poca gente sulla banchina ma così tanta in sala d’attesa? Stai a vedè che 8 e 36 porta ritardo.”
Stefania: “Come sempre!”
Me, presaga: “Vabè, porterà una ventina di minuti dai.”

Ovviamente, 8,36 porterà non i soliti 5 minuti abituali, ma ben 20 minuti di ritardo.  Ed è andata bene, come dimostreranno sviluppi successivi. (La cosa non mi ha impedito di ricevere minacce di morte se non tenessi chiusa la bocca.)

Ok, si sale e si trova addirittura posto a sedere, mentre Stefano era arrivato a Roma Termini e ci aspettava da un quarto d’ora.. Arrivati in stazione si cerca, nell’ordine, uno sportello BancoPosta e un bagno: ci si dirige quindi verso il McDonald, dove le nostre eroine (in questo caso Io e Ilaria) troveranno un individuo di sesso maschile intento a fare un qualcosa di vagamente sospetto. Superato questo piccolo inconveniente, ci si dirige verso via Nazionale, in una traversa della quale, a detta di Ilaria, c’era un (primo) negozio che faceva al caso nostro. Arrivati là, abbiamo una spiacevole sorpresa: impalcature in una parte della strada. Ovviamente, nella parte che interessava a noi. Ovviamente, al numero civico dove avrebbe dovuto trovarsi il negozio. Bene o male, riusciamo a vedere attraverso le assi e ORRORE: i locali del negozio sono in ristrutturazione. Non c’è neanche più l’insegna. La strada è bloccata dalle impalcature. Qualche operaio ci guarda e sogghigna.

Io, con spirito d’osservazione: “Ma.. Il negozio non c’è.”
Elisa: “Ma sei sicura che fosse qui?”
Ilaria: “Sì, ho visto le foto sabato sera… E il negozio c’era!”
Io: “L’hanno smantellato stanotte, me lo sento. Qualcuno di voi sa dove altro possiamo andare?”
Ilaria: “Ce n’è uno a Barberini vicino l’Hard Rock Cafè, ci sono stata un paio d’anni fa.”

Neanche a dirlo, non ci si arrende dopo questa prima brutta scoperta, si decide di insistere nell’errore e ci si dirige a piedi verso Barberini, facendo una bella scarpinata. Via Veneto, si arriva fino all’Hard Rock Cafè. E ora? Ora si cerca una traversa alberata, sulla sinistra – salendo. Cammina cammina cammina, la strada finisce. Forse non abbiamo guardato bene, chiediamo a quell’edicolante laggiù.

“Salve, cercavamo un negozio…”
“Ma voi siete sicuri che fosse qui? Quando siete venuti l’ultima volta?”
“Ehm, un paio d’anni fa, perché?”
“Perché io sto qui dall’88 e non l’ho mai visto.”
“Ah.”

Ovviamente, l’edicolante ricorda male: chiediamo alla tizia dell’Hard Rock Cafè. Magari è più giovane, sai, ne avrà sentito parlare…

“Ciao, senti, cercavamo un negozio che..”
“Lavoro qui da poco, non posso aiutarvi.”

Vabè, dai, visto che ci stiamo riscendiamo fino alla fermata della metro, magari salendo non l’abbiamo visto.. Intanto scrivo a Luca e alla Banana se possono vedere dove sta un altro negozio. Già per fargli capire dove dovessero andare per trovare la lista dei negozi dal sito  u f f i c i a l e  ce n’è voluto, tra l’altro il cellulare quasi scarico m’ha costretto a segnarmi gli indirizzi sul quadernino. Ne trovano ben TRE, mentre la sera prima noi ne avevamo trovati minimo una ventina. Vabè, mettiamoci in viaggio per piazza Bologna, dove ce ne sono ben due. Arriviamo alla destinazione, e al numero civico indicato (secondo negozio) c’è una gioielleria. Una gioielleria.

Dai che ce n’è un altro qui vicino! Questo sarà sicuramente aperto. (Fuggite, sciocchi!)

“Scusi, via dei Massaciuccoli?”
“Che?”
“Non saprei.”
“Eh?”
“Non sta mica da queste parti.”
“No ma guarda che è lontano!”
“E come volete arrivarci, a piedi?”
“Ma da Termini non vi conveniva prendere il 310?”
“Sì, guarda, vai a destra, poi sinistra, attraversa la Nomentana, gira a destra, fai tutto il viale e poi.. E poi chiedi.”
“Sigh.”

Ci facciamo questa bella camminata in tre, mentre Elisa ci ha abbandonato a Barberini (è stata la più saggia, ammettiamolo). Ora, lasciate che vi faccia capire in che zona siamo passati: case di riposo, costose case di cura, villette, parchi giochi, i lavori della metro B1 conclusi il 17 dicembre. Per la serie: un’altra settimana e la aprono. Dopo aver incontrato una signora con più pelliccia sul cappotto che carne sulla pelle che ci ha elencato tutte le strade da attraversare, ci siamo persi. Fortuna, probabilmente impietosita dalle condizioni in cui versavamo dopo aver scarpinato senza sosta per circa tre ore, volle che trovassimo un ragazzo che stava fumando. Ok, in un ragazzo che fuma non c’è nulla di speciale, ma chiamiamolo con il suo nome: Claudio. Ecco, già è meglio, il nome gli conferisce un che di solido e reale. Bene, Claudio abita proprio nella zona dove noi siamo diretti ed in più deve tornarci proprio in quel momento. Potete capire ora perché ci sia apparso come un raggio di sole in… Sono negata con le metafore.

Insomma, facciamo quel po’ di strada insieme e ci spiega dove andare, ma girato l’angolo ecco la tentazione: un McDonald si erge dritto davanti a noi, con la sua grossa M gialla che ammicca alla nostra fame. Nel frattempo s’è fatta quasi l’una e decidiamo di concederci un antipasto (i McNuggets) prima di terminare la nostra fatica erculea. Orrore: quando usciamo non ci ricordiamo più l’itinerario. Fortuna volle (sì, di nuovo) che ci capiti sotto gli occhi una cartina attaccata ad un muro, con il classico pallino rosso del “TuSeiQuiEdIoTiStoOsservando” e, cosa più importante, poco distante la destinazione ultima. Dopo qualche riflessione sullo staccare o meno detta mappa dal muro, obiettivo da cui abbiamo desistito più che altro per l’impossibilità di battercela senza esser visti, decidiamo di imparare a memoria la strada. Raggiungiamo la destinazione (tre) mentre Ilaria, ridendo, prova ad ipotizzare la chiusura del locale.

Arriviamo là davanti e troviamo la saracinesca chiusa. Chiusa, capite? Abbassata. Mentre lo sconforto si impadronisce di noi (e sento distintamente delle fantasie omicide delle due povere cavie su di me) notiamo un cartello: il negozio è stato spostato alla fine della strada. Yuppi, magari non è chiuso, dai dai dai corriamo!
Arriviamo davanti alla nuova postazione (quattro) per scoprire che, anche qui, la saracinesca è abbassata e regna il silenzio, ma  stavolta prima di darci per vinti entriamo nel negozio accanto, un fotografo, e chiediamo informazioni.

Ma sì, è lunedì, apre più tardi perché domenica notte fanno i tornei… Di solito per l’una e mezza ce li trovate! A questo punto, è l’una e un quarto, vi conviene andare a prendere qualcosa da mangiare ed aspettare che apra. C’è un MiniPizza proprio qui accanto, se volete..

Inutile dire che abbiamo accettato al volo e con gioia la notizia e ci siamo fiondati verso il cibo. Siamo usciti dalla pizzeria verso le due e siamo tornati indietro, convinti di essere giunti alla fine del nostro peregrinare.

Ma. C’è sempre un ma a questo punto della storia, l’avete notato? 

Ma noi, novelli Ulisse, non avevamo ancora placato le ire del Fato: la serranda è ancora saldamente abbassata. Tendiamo le orecchie: nessun rumore all’interno. Bussiamo, nessuna risposta. Un cartello piccolo e ben nascosto ci informa che l’apertura è prevista per le 15,30.

Nun je la possiamo fa. Torniamo indietro.

Chi mi conosce sa che sono testarda, parecchio. Lo sa anche il destino.
Ottengo (quasi) tutto ciò che voglio, ed in questa occasione volevo fare un regalo ben preciso. Il fato, come già detto, lo sa già: può divertirsi quanto gli pare, ma io gli farò quel regalo. Inutile dire che, memore della giornata, ho passato la serata ad annotarmi scrupolosamente diciotto (DICIOTTO) indirizzi di negozi, completi di strada, numero civico, autobus o metro da prendere e strade da attraversare per arrivarvi.
Il giorno dopo mi appresto a ripetere l’esperienza con la sicurezza data da diciotto indirizzi diversi e delle comode scarpe da ginnastica. (Il giorno prima, incauta, ero uscita con gli stivali.)
Stessa scena: la banchina della stazione è vuota e i pendolari s’ammassano nella sala d’attesa. Ci avviciniamo per scoprire con orrore che il treno porta 50 minuti di ritardo, in aumento. Rapida consultazione e si decide di andare in massa alla stazione precedente, da dove partono i treni diretti. Per un pelo non perdiamo un treno che scopriremo essere in ritardo di venti minuti ma che, al momento, fa al caso nostro. Arrivo quindi in ritardo di un’oretta a Termini, ma a parte questa piccola disavventura la giornata scorre tranquilla e piacevole, con Luca che mi fa compagnia e mi aiuta ad impacchettare il regalo.

Regalo che, a quanto so, è stato apprezzato. 🙂
Grazie a tutti quelli che hanno partecipato a questa maratona di due giorni: mi sono divertita, ma non credo che ripeterò l’esperienza: non tanto in fretta, comunque..


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