Troppo tardi.

L’aria che filtra nei polmoni è pesante e dolorosa. Le ore più calde del giorno non riescono a sciogliere questa sorta di gelo invernale che aleggia nell’aria – muscoli, sangue, ossa ne sono impregnati come in una ragnatela iridescente.
Una tarantola è in agguato in un angolo, una gigantesca mantide religiosa che attira le proprie prede in un incanto da cui è impossibile svegliarsi se non troppo tardi.
Le parole formano un vortice nebuloso mentre poco più sotto i binari scorrono lenti, innalzando scintille come pegno ed ingiurioso trofeo allo sviluppo socioeconomico. Odore di freni bruciati, consumati come frasi abusate in un cielo blu da far male.
Acqua, acqua stagnante altri odori pungenti trasformati in sapori tra le labbra sporche di verde.
Grigio, grigio ovunque come una patina che avvolga la retina imprigionandola tra fetidi legami da recidere – “troppo tardi” è l’unico pensiero ammesso: il peccato della procrastinazione.
Brucia, brucia ancora: novelli Nerone si affollano intorno come falene, pronti a prender parte al loro destino spettatori e non più protagonisti di un qualcosa che ha smesso di appartenere loro tempo fa.

L’uomo è un lemming, inevitabilmente portato verso il proprio annullamento con un sorriso ebete sulle labbra esteso fino alle narici sporche di gesso.


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