Le nostre anime si arrovellavano, perse nella duttilità del momento.
Idiosincrasia del terzo millennio, bruciami le cellule attraverso immagini delle città stellate che ci morivano addosso. Precipitavo tra la cenere dei resti di chiunque inalando secoli di storia trasformati in statue del nostro fallimento duraturo.
E mi chiedevo se seguire la mia ombra all’estero come Peter Pan, nell’attesa mai vana che mi spuntassero ali, ali nere delle angosce versate.
Che ne sarà di questi angoli di anima ora che non mi appartengo più.
Se mai mi sono appartenuta davvero, persa nella disperata ricerca di qualcuno a cui non valesse la pena di appartenere, l’autolesionismo latente delle mie dita che si ritrovavano chiuse intorno alla mia gola.
Scrivo di me su carta esausta, che ora non servirà più nessuno, pronta per la pattumiera e più nobile rappresentazione della vita: produci, consuma, crepa.
Crepa.
Crepa.