Nel 1996 la Futabasha inizia a pubblicare Old Boy, manga scritto da Garon Tsuchiya ed illustrato da Nobuaki Minegishi. Partendo dal rapimento di un giovane e del suo successivo rilascio, dieci anni più tardi, la vicenda si sviluppa intorno alla ricerca, da parte del protagonista, di chi gli ha sottratto la libertà e, soprattutto, delle ragioni di tale gesto.
Nel 2003 il coreano Park Chan-Wook decide di portare la vicenda sul grande schermo e lo sceglie come secondo episodio della sua Trilogia della Vendetta, insieme a Mr. Vendetta (del 2002) e Lady Vendetta (del 2005). Oldboy, interpretato da Choi Min-Sik e Yu Ji-Tae, riprende i temi del manga da cui è tratto con qualche piccolo aggiustamento, sebbene rimangano le atmosfere cupe e claustrofobiche e la sensazione di inquietudine che la storia porta inevitabilmente con sé. Alla sua presentazione, il film riscuote notevole successo sia da parte della critica, con la vincita del prestigioso Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 2004 (con Quentin Tarantino che definì Oldboy come “Il film che avrei voluto fare”), sia da parte del pubblico, diventando in breve tempo un vero e proprio cult del genere thriller.
È proprio grazie a questo successo, per molti versi inaspettato, che la DreamWorks e gli Universal Studios decidono di girare un remake ambientato stavolta negli Stati Uniti. I rumors che trapelano sulla possibile regia includono nomi importanti del panorama cinematografico statunitense quali Steven Spielberg, mentre si parla di Will Smith come possibile protagonista, ma a causa di problemi legali legati ai diritti d’autore del manga presto sia Spielberg che Smith e la DreamWorks stessa abbandonano il progetto.
La sceneggiatura viene affidata a Mark Protosevich (Io Sono Leggenda, Thor), che non ha mai fatto mistero di aver apprezzato la storia originale: “Sono e sarò sempre un grande fan del film originale. L’ho sempre adorato e l’ho visto parecchie volte”, afferma infatti durante un’intervista. Riguardo l’abbandono della DreamWorks e la conseguente riduzione di budget, commenta: “Il produttore voleva ancora girare il film. Non sarebbe stata una pellicola da grande casa cinematografica, aveva assunto più uno spirito indie, e non sarebbero stati in grado di pagarmi chissà quanto, ma ormai non me ne importava niente. Mi ero affezionato ed avevo puntato così tanto su cosa questo film sarebbe potuto diventare, che volevo esserci dentro a qualsiasi costo”.
Ed alla fine nel 2011 è Spike Lee ad accettare il ruolo di regista: “[L’originale] è un film fantastico. E questa è la prima volta che faccio qualcosa del genere: è interessante il modo in cui si può rimanere legati all’essenza del materiale originale, ma creare qualcosa di diverso, e so che è quello che siamo riusciti a fare stavolta”.
Ad interpretare il ruolo del protagonista viene scelto Josh Brolin (Non è un paese per vecchi, W., Wall Street: il denaro non dorme mai). Anch’egli si dice fan del film originale: “Amo Oldboy. Conosco bene Chan-Wook Park e gli ho scritto un’email un paio di mesi fa per chiedere il suo consenso per questo film, perché se lui mi avesse detto di no, io non l’avrei fatto”.
La coprotagonista, Elizabeth Olsen, parla in termini entusiasti dell’effetto che le ha fatto la sceneggiatura: “Non avevo mai visto una sceneggiatura che ha girato così tanto intorno ad una realtà esasperata. La storia di Oldboy ha così tanto impeto, ed è particolarmente assurda – ma apparirà tutto come vero, si entra completamente nella storia”.
Il ruolo di antagonista viene invece affidato a Sharlto Copley, attore sudafricano conosciuto al pubblico soprattutto per le sue interpretazioni in District 9 e A-Team. “Sono rimasti fedeli allo spirito della pellicola”, afferma in un’intervista, “È tetro, ha una sua grinta. Non c’è nessun tipo di ammorbidimento, cosa che per me era molto importante”.
Joseph Doucett non è un brav’uomo. Padre e marito assenteista ed assiduo bevitore, una sera viene improvvisamente rapito e rinchiuso nella stanza senza uscite di quello che sembra un grottesco motel, in cui passerà vent’anni della sua vita con la sola compagnia della sua televisione. Altrettanto improvvisamente viene rilasciato: l’unica cosa che accomuna i due momenti è l’inquietante presenza di una donna dai lineamenti orientali che regge un ombrello giallo…
Finalmente libero, Joe si impegnerà anima e corpo alla ricerca dei mandanti e delle ragioni della sua detenzione. Per avere la sua vendetta, non avrà altra scelta se non scandagliare a fondo la sua vita e tutto il male che ha fatto agli altri…
Spike Lee, coadiuvato dal direttore della fotografia Sean Bobbit e dalla scenografa Sharon Seymour, riesce a ben rappresentare il senso di profonda inquietudine che, in differenti sfaccettature, scorre attraverso tutto il film: nella prima parte si ha la sensazione di una vita vuota, sprecata e ci si immerge nello stato d’animo del protagonista grazie al sapiente utilizzo delle inquadrature; nella parte centrale, lo spoglio arredamento della stanza in cui Doucett è rinchiuso colpisce allo stomaco con l’esatta percezione della solitudine e della disperazione; nella parte finale, il ritmo si fa più incalzante e si arriva alla fine con l’acqua alla gola.
Ci si immedesima nel personaggio fino ad avvertire ben distinte le sue emozioni grazie ad una sapiente rilettura del materiale originale. Gli autori si concentrano su quelle che possono essere considerate le fobie intrinseche di ogni essere umano, che fanno risvegliare nel protagonista istinti primordiali: la claustrofobia, la già citata solitudine, l’isolamento, la perdita di ogni riferimento temporale, il senso di colpa e la consapevolezza di essere perseguitati, braccati, senza tuttavia saperne il motivo.
La storia è un percorso di vendetta ed al tempo stesso di espiazione, verso una nuova e più profonda conoscenza in cui si ricerca la pace interiore: attraverso il pentimento e la riparazione dei propri sbagli si tenta di raggiungere finalmente la riappacificazione con se stessi.