
A volte gli uomini sono padroni del loro destino; la colpa, caro Bruto, non è delle stelle, ma nostra, che ne siamo dei subalterni.
Cassio – Atto I, Scena II.
Cesare, guardati da Bruto; sta’ attento a Cassio; non avvicinarti a Casca; tieni d’occhio Cinna; non fidarti di Trebonio; fa’ attenzione a Metello Cimbro; Decio Bruto non ti ama; hai fatto torto a Caio Ligario. Questi uomini han soltanto un proposito ed è diretto contro Cesare.
Artemidoro – Atto II, Scena III.
È sempre difficile confrontarsi con un “classico”, e a me le piece teatrali non hanno mai appassionato particolarmente. Ma Shakespeare va letto, anche solo per quanto rappresenta e per l’importanza che ha avuto nella produzione successiva, non solo inglese.
Non credo ci sia bisogno di fare chissà quale introduzione a Shakespeare, ma voglio spendere due parole per “entrare” nel contesto storico in cui viene scritta l’opera – e, si sa, il contesto storico è di estrema importanza per capire un testo, per comprendere lo stile ed anche per perdonare qualche “strafalcione” quando si parla di personaggi storicamente esistiti.
William Shakespeare, sempre che questo sia il suo nome*, nasce a Stratford Upon Avon intorno alla metà del XVI secolo, quando già la regina Elisabetta era salita al trono (no, non lei). Si trasferisce in giovane età a Londra, qualche malelingua afferma che fu per sfuggire al processo per il furto di un cervo, come nella famosa canzone di De André.
Fatto sta che a Londra inizia ad impegnarsi nel teatro. In quegli anni il teatro inglese fa faville, tra una pausa per la peste bubbonica e l’altra; basti pensare che quasi contemporaneamente era attivo anche Christopher Marlowe, altra “pietra miliare” della letteratura inglese. Tant’è che il nostro Guglielmo fonda persino una compagnia teatrale, i Servi del Lord Ciambellano, che gli garantirà persino esibizioni di fronte alla stessa Regina.
È molto prolifico, tant’è che a noi sono arrivate uno svarione di cose “37 testi teatrali, 154 sonetti e una serie di altri poemi” (grazie Wikipedia). Muore a Stratford sull’Avon, non prima di essersi guadagnato il titolo di “gentleman” per sé e per i propri discendenti, pur provenendo da una famiglia di ceto medio basso.
E qui si conclude questa breve introduzione, che si discosta un po’ da Shakespeare in Love.
Tornando al Giulio Cesare, è una delle sue “tragedie storiche” ambientate in epoca romana. Diviso in cinque atti, può essere suddiviso in tre parti: i primi due atti contengono la preparazione alla congiura delle Idi di Marzo e l’introduzione ai personaggi principali, con il conflitto interiore che li caratterizza; il terzo atto è la messa in opera della congiura e la morte di Cesare, con le sue immediate conseguenza; il quarto e il quinto atto sono le battaglie in Grecia della guerra civile tra i Cesaricidi da una parte e i Triumviri dall’altra. La storia delle Idi di Cesare la conosciamo tutti.
Quello che più colpisce di questa rappresentazione è che non c’è un protagonista ben definito.
Giulio Cesare? Muore nella prima Scena del terzo Atto. Per la maggior parte del tempo in cui è vivo lo vediamo attraverso gli occhi dei congiurati: l’affetto incerto di Bruto, l’astio di Cassio, il disprezzo di Porzia. Viene rappresentato come un uomo avido di potere, che è costretto suo malgrado a rifiutare la corona che gli viene offerta perché sa che il popolo è contrario. Ci appare come un uomo malato, che sviene dalla rabbia – forse è una conferma dell’epilessia, di cui si dice soffrisse.
Et tu, Brute? – E Allora Cesare cada!
Cesare – Atto III, Scena I
Antonio? Di lui abbiamo una visione ben diversa da quella che la storiografia ci riporta. È un abile comandante sul campo, certo, ed un oratore in grado di voltare gli umori della folla a proprio favore dopo che i Congiurati l’hanno aizzata contro Cesare. Eppure è un uomo in fondo debole, che fugge a casa spaventato quando gli arriva la notizia che Cesare è morto. Un uomo pieno di contraddizioni, a cui Shakespeare fa pronunciare per il funerale di Cesare uno dei discorsi più famosi della sua produzione.
Amici, romani, concittadini, prestatemi le vostre orecchie. Io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno vive dopo di loro, il bene viene spesso sotterrato con le loro ossa; sia così per Cesare.
Antonio – Atto III, Scena II
E allora i protagonisti devono essere i congiurati, giusto?
Cassio, l’astuto tessitore dell’intera congiura, che muove gli altri come pupazzi e che li esorta, che dissipa i loro dubbi. Che sa quali corde toccare per alimentare la fiamma dell’avversione contro Cesare il tiranno. Sappiamo che è un comandante esperto, che ha combattuto sotto Crasso e che si è schierato con i Pompeiani, salvo poi essere perdonato da Cesare dopo la vile morte di Pompeo. Eppure muore per un’incomprensione durante la battaglia di Filippi: crede che il suo accampamento sia circondato dai nemici ed ordina a uno schiavo di ucciderlo, quando invece erano i soldati di Bruto, corsi per dare il proprio sostegno e per annunciare che stanno vincendo la battaglia.
Sii libero, ora; e con questa brava spada che passò attraverso le viscere di Cesare, fruga in questo petto. Non rispondere. Qui, prendi l’elsa, e quando il mio viso è coperto, com’è ora, guida tu la spada! – Cesare, sei vendicato proprio con la spada che ti ha ammazzato.
Cassio – Atto V, Scena III
Bruto è forse il più “papabile”, perché Shakespeare si sofferma su di lui più che su tutti gli altri. È il più umano ed in un certo senso il più moderno: ama Cesare, è il suo figlioccio adottivo, ma ama di più la Repubblica, quella stesse Repubblica che Cesare inizia a disgregare – e che terminerà definitivamente con Ottaviano, suo successore. I primi due atti sono centrati su questi suoi dubbi, sul suo soppesare l’onore con la lealtà verso il suo benefattore. E vediamo anche il suo rapporto con la moglie Porzia, che la storiografia ci presenta come una donna forte, figlia di Catone l’Uticense che s’uccise dopo la sconfitta di Pompeo per non dover chiedere la grazia a Cesare.
Bruto morirà a Filippi, dopo che il suicidio di Cassio rende vani i suoi sforzi per la vittoria. Il suo schiavo, Stratone, rifiuta di ucciderlo: sarà lui a gettarsi volontariamente sulla spada e trafiggersi. Alla scoperta del suo cadavere, tutti i presenti, Antonio e Ottaviano compresi, avranno lodi per il suo coraggio.
Questo era il più nobile tra tutti i romani. Tutti i cospiratori, tranne lui, fecero quel che fecero in odio al grande Cesare; solo lui, in un onesto progetto generale, e mirando al bene comune, diede loro unità. La sua vita era gentile e gli elementi così mischiati in lui che la Natura poteva alzarsi e dire a tutto il mondo: “Questo era un uomo!”
Antonio – Atto V, Scena V.
E forse è proprio questa la forza e la bellezza di quest’opera di Shakespeare: dopo più di quattrocento anni siamo ancora qui a domandarci chi sia davvero il personaggio principale.