Matteo Bruschetta – I Mondiali dei vinti: Storie e miti delle peggiori nazionali di calcio

In questi giorni mi ero accorta di avere questo libro nella Libreria Amazon; avendo bisogno di spazio l’ho sfogliato per decidere se tenerlo o meno… E il fatto che ora sia qui a scriverci un articolo del blog fa capire facilmente cosa ho scelto alla fine. 😀

Tutti, anche chi segue poco il calcio, ricordiamo chi vince i Mondiali e i momenti “topici” che li accompagnano: Italia nel 2006, “Andiamo a Berlino, Beppe”; Italia nel 1982, Pertini che gioca a carte sull’aereo; Brasile nel 1994, il rigore sbagliato di Baggio; Argentina nel 1986, il “gol del secolo” e l’esultanza di Maradona… Ogni campionato mondiale porta con sé di questi gesti, di queste storie.

E le storie di chi invece non ce la fa? Di quelle Nazionali che sono Cenerentole o comete, per cui già arrivare a giocare a quei livelli è un trofeo?

Matteo Bruschetta, l’autore, ha preso le 10 Nazionali peggiori della storia del calcio, dedicando ad ognuna di esse un capitolo attraverso gli occhi di un calciatore (o di un allenatore).

Bolivia 1994. Il protagonista è Xabier Azkagorta, allenatore spagnolo alla sua prima esperienza internazionale, che al suo arrivo trova ostilità e pessimismo, soprattutto in quanto spagnolo: all’inizio, infatti, viene visto come “un altro conquistadores”. Alla fine, la Bolivia non passerà la fase a gironi, pur uscendo a testa alta dal Mondiale.

Iraq 1986. Il protagonista stavolta è Ahmed Radhi Amaiesh, uno dei giocatori iracheni più amati e scomparso da poco per complicazioni da COVID19. In questo capitolo si fa anche una panoramica della situazione politica dell’Iraq di quegli anni, sotto la dittatura di Saddam Hussein: neanche lo sport era esentato da vessazioni di ogni tipo, da giocatori cacciati dalla nazionale perché rientrati troppo tardi, ad arbitri della FIFA picchiati e derubati, giocatori minacciati, imprigionati, torturati sotto la guida di Uday Hussein, il figlio maggiore di Saddam.

Togo 2006. Richmond Forson è un giocatore sfortunato, i cui sogni di gloria nelle grandi squadre europee si infrangono per un incidente d’auto in Francia. In Togo la Federazione calcistica è nelle mani del figlio del dittatore Gnassingbé, che utilizza i fondi per i propri scopi e gestisce il tutto secondo i propri capricci: i premi della Fifa per il mondiale, destinati ai giocatori, finiscono invece nelle sue casse e in quelle dei dirigenti, gli allenatori vengono insultati, le proteste dei calciatori finiscono nel vuoto.

Canada 1986. Nessuno pensa al Canada come ad un paese con una forte passione per il calcio, ed infatti ad interessarsene sono in pochi, per la maggior parte di origine europea, come Robert Italo Lenarduzzi. Nel 1986, anno in cui il Canada si presenta al Mondiale in Messico, non esiste neppure un campionato nazionale.

Indie Orientali Olandesi 1938. Quella che oggi è l’Indonesia, all’epoca era dominio olandese. Sono proprio gli olandesi a portare il pallone a Giava ed a fondare le prime squadre (ovviamente con nomi che richiamavano squadre olandesi). L’unica presenza indonesiana ai mondiali finora è quella del 1938, disputata in Francia.

Emirati Arabi Uniti 1990. Adnan Al-Talyani racconta l’esperienza della nazionale “dello stato con il minor numero di abitanti a partecipare al Mondiale”. Nel 1990 è stata l’Italia ad ospitare i Mondiali, e diciamo che non abbiamo brillato per simpatia nei loro confronti – si parla ad esempio dei siparietti di Piero Chiambretti e del cammello basati sui luoghi comuni.

Cina 2002. Velibor Milutinovic è l’allenatore grazie al quale la Cina si è qualificata per la prima (e finora unica) volta al Mondiale. La Cina, il paese più popoloso al mondo, che ospita nel proprio campionato molti famosi giocatori europei a fine carriera…

Haiti 1974. Come capita spesso in queste storie, anche Haiti è in mano ai dittatori: i Duvalier, “Papa Doc” e “Baby Doc”, appoggiati dagli USA. Haiti è una delle nazioni più povere del mondo, e in occasione della loro partecipazione ai mondiali in Germania Ovest, i calciatori vennero scortati dalla polizia segreta e malmenati in caso di “brutte figure”.

Zaire 1974. Uno dei momenti più famosi del Mondiale è sicuramente questo:

Quando già erano sotto di 3 reti a 0, durante una punizione per il Brasile, Mwepu Ilunga uscì dalla barriera e calciò il pallone al posto di Rivelino: i brasiliani si misero a ridere, lo Zaire di quell’anno divenne lo zimbello del mondo e molti ancora adesso pensano che sia stato un errore, un “bizzarro momento d’ignoranza africana”, come lo commentò il giornalista della BBC John Motson. In realtà Mobutu, dittatore dello Zaire, aveva minacciato di morte i giocatori e le loro famiglie se avessero perso con più di 3 gol di scarto con il Brasile. Ilunga, preso dal panico, aveva fatto l’unica cosa possibile in quel momento: perdere tempo, distrarre gli avversari. La partita si concluse 3 a 0.

El Salvador 1982. Il ruolo più ingrato di tutti nel calcio è quello del portiere: nessuno si ricorda mai delle parate, ma solo dei gol subiti. Nel 1982 El Salvador è un paese in piena guerra civile, dove FAES e FMLN si sparano per strada. Quando i giocatori partono per il Mondiale di Spagna, la FIFA anticipa 100.000 dollari perché possano partecipare, ma quei soldi spariscono nel nulla: i soldi non bastano a far partire tutti i giocatori, a due di loro il biglietto viene pagato con una colletta dai compagni; le maglie delle SETTE divise ufficiali con cui dovrebbero giocare vengono rubate, così come i palloni con cui dovrebbero allenarsi, l’hotel in cui sono alloggiati ospita un club di tiro al piattello, i documenti vengono smarriti prima della partita… Alla fine, tra disorganizzazione e sfortuna, l’avventura si conclude con la sconfitta peggiore della storia dei Mondiali: 10 a 1 contro l’Ungheria. E ad essere incolpato è proprio il giovane portiere.


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